Brancozzi, Rifare i preti. Come ripensare i Seminari
Inutile girarci attorno: la realtà nuda e cruda è che i Seminari in Italia sono impostati sull’impronta data dal Concilio di Trento 1563.
E allora? Che fare? Da dove iniziare? Come farlo?
Don Enrico Brancozzi è Rettore del Seminario di Fermo e docente all’Istituto Teologico Marchigiano. Con EDB, nella Collana Teologia viva, pubblica questo testo che suggerisco vivamente non solo di leggere, ma di almeno tentare una possibile declinazione concreta di qualche suggerimento qui proposto, sapendo che sono passi possibili praticabili e non utopici, né idilliaci.
Sono proposte da prendere in considerazione seriamente, facendone oggetto di riflessione nelle sedi delle Conferenze Episcopali Regionali, sulla spinta anche di Bergoglio che chiede di avviare processi e non di occupare spazi che, nel linguaggio dei Seminari in Italia, vorrebbe dire mantenere le cose così tamquam non esset.
Infatti, don Brancozzi ha ben ancorati i piedi sul terreno del realismo, quando nell’introduzione scrive: “non si può pretendere di iniziare una riflessione su questi temi sapendo già che essa lascerà che tutto vada avanti più o meno come prima o che al massimo consisterà in un restyling indolore. Sarebbe far finta di averci provato“.
Il testo si apre con un lungo saggio di Erico Castellucci, con alcuni passaggi che riporto di seguito l’indice.
L’indicizzazione del testo è strutturata in 8 capitoli:
1° capitolo. Una società in trasformazione.
2° capitolo. In ricerca di una nuova forma ecclesiale.
3° capitolo. Le trasformazioni del ministero.
4° capitolo. Le ministerialità ecclesiali.
5° capitolo. Dinamismi e obsolescenze delle strutture formative.
6° capitolo. La dimensione pastorale come criterio fondamentale di riforma.
7° capitolo. Pastori con l’odore delle pecore.
8° Sentieri per una revisione.
“Il presente studio – evidenzia il Rettore di Fermo – muove da una convinzione che potrebbe essere così riassunta: il Seminario è una struttura formativa ancora adeguata, almeno in parte, per tutti coloro che hanno determinate caratteristiche di relazionalità, di volontà, di maturità e di resilienza. Viceversa, è una struttura obsoleta e non più adatta per tutti gli altri casi, perché consente atteggiamenti mimetici e di facciata verso i quali nessun formatore ha strumenti di contrasto adeguati. Il seminario – don Brancozzi si rifà all’immagine di Bergoglio – è un ospedale che cura i ‘sani’ e non riesce ad essere d’aiuto ai ‘malati’, non nel senso selettivo del termine, cioè non perché li respinga con indifferenza o perché sia una struttura troppo esigente che lascia indietro coloro che sono maggiormente in difficoltà. Il problema che sta a monte è che la tipologia classica della vocazione presbiterale cattolica è ancora affidata all’autocandidatura: è il singolo che si presenta e chiede di essere accolto. È ovvio che in un approccio del genere il fine primario è superare la selezione richiesta e accedere agli ordini sacri. Laddove la prospettiva dovesse essere invece primariamente ecclesiale, lo sguardo sarebbe diverso perché sarebbe la comunità nel suo insieme che elegge un candidato e ne verifica la capacità per una sequela matura e responsabile“.
Il nodo, dunque, è nel sistema, è sistemico e che al di là “delle buone o notevoli capacità soggettiva dei singoli” educatori in Seminario, ad essere obsoleta è “la struttura non più adatta (da sola) a verificare l’idoneità al ministero“. Tradotto: non c’è una comunità che presenta un giovane alla Chiesa per il ministero, ma il giovane è selfie (con linguaggio digitale) di se stesso.
Accenno, infine, alcuni tratti centrali della proposta del vescovo Erio Castellucci (invitando il lettore ad approfondirli nel testo completo scritto da don Enrico Brancozzi), su cui da diversi anni il vescovo Erio sta riflettendo e proponendo (auspicando che a breve qualcosa in Italia si concretizzi):
“Ben sapendo che non esiste una ricetta infallibile – scrive Erio Castellucci – mi azzardo a riproporre una (parziale) alternativa sperimentale all’attuale struttura del Seminario:
– è indispensabile un anno propedeutico (non oltre un anno) (…).
– un biennio di vita comune tra seminaristi sul modello tridentino attuale nella forma regionale o interdiocesana (…);
– il triennio successivo potrebbe svolgersi in piccole comunità scelte dal vescovo, scegliendo i criteri già oggi vigenti nelle assegnazione delle parrocchie di servizio ai seminaristi (…);
– l’anno di diaconato potrebbe essere vissuto abitando nella famiglia di un diacono permanente (…). Naturalmente anche nelle ultime due fasi saranno necessari momenti di incontro di tutti i seminaristi (e diaconi) per ritiri, esercizi spirituali, giorni di vacanze, assemblee. E le varianti sono tante“.
Tutto ciò è praticabile, possibile, auspicabile, necessario.
La sinodalità non sia parola roboante da pronunciare, ma da esercitare nel concreto. Vediamo ora quale Regione ecclesiastica italiana prende sul serio Brancozzi e Castellucci. Spero numerose.
Grazie don Enrico, grazie + Erio.
Enrico Brancozzi, Rifare i preti. Come ripensare i Seminari, Bologna, EDB, 2021, pp. 191, € 16,00.